Fuori dal campo Estero

L'Uomo e la Leggenda

Se lo sport è vita è perchè è fatto di uomini, nel caso di Diego Armando Maradona di grandi ed indimenticabili uomini che hanno fatto la storia.

26.11.2020 23:19

di Claudia Rivizzigno

Maradona è il fenomeno, il fuoriclasse ma è anche il ragazzo di Lanùs, piccolo paese argentino, che riesce a realizzare il proprio sogno e che diventa uno del popolo, rendendo possibile ciò che si osava solo sperare. Maradona non è stato solo del Napoli, non solo di chi l'ha visto giocare in quegli anni ma è, e sarà sempre, di tutti coloro che ne sentiranno parlare.

In questa storia è sbagliato scindere il giocatore dall'uomo perchè è stato l'uomo, nel bene e nel male, a fare la differenza: sia quando ai quarti di finale dei mondiali di Messico '86 segna quel gol, la Mano de Dios, contro l'Inghilterra e sia quando nel '90 entra in quel brutto giro di amicizie.

“Noi rappresentavamo i nostri morti mandati a morire dagli stessi argentini, non è che gli inglesi abbiano premuto un bottone e abbiano ammazzato tutti. Noi però dovevamo andare in campo, pensando a giocare bene, ma sapendo che battere l'Inghilterra era come vincere la guerra”, parlava così il Maradona di quel mondiale, che aveva portato una squadra, l'Argentina, a compiere l'impresa di vincerlo per la prima volta, parlava così il Maradona rivoluzionario nella sua lotta contro il potere imperialista. “Mi resta l'amaro in bocca, avrei potuto essere molto di più di quello che sono. Sono nato nel calcio, sapevo chi sarei diventato, sapevo che avrei comprato casa a mia madre, che avrei messo su famiglia, che avrei girato il mondo e che l'Argentina avrebbe vinto i Mondiali. Sapevo tutto, non sapevo che avrei consumato cocaina”, è lo stesso Maradona che parla, l'uomo, il calciatore, poco importa. Un mito imperfetto, come tutti i miti, la cui grandezza è diretta e proporzionale alla sua rovina. Muore nello stesso giorno, a quattro anni di distanza, da colui che considerava un secondo padre e il cui viso aveva tatuato sul polpaccio: Fidel Castro. Con lui e con altri leader latini come Hugo Chavez e Nicolas Maduro, condivideva la passione per il calcio e per la politica: se non avesse saputo usare così bene i piedi, sarebbe divenuto un rivoluzionario e di tale eredità era stato investito quando secondo Fidel Castro attraverso il linguaggio universale del pallone avrebbe potuto esportare la rivoluzione contro il capitalismo in tutto il mondo. Diego è lo stesso che, agli esordi, sceglie di giocare nel Boca Juniors: l'avrebbero pagato di meno, ma avrebbe esaudito un sogno che risaliva ai tempi in cui, passeggiando con il padre vicino lo stadio Bombonera, gli aveva promesso che un giorno avrebbe giocato col Boca davanti a migliaia di persone. Nell'inverno del 1984 Maradona, arrivato a Napoli da poco, disputa un'amichevole ad Acerra: il fine è quello di raccogliere dei fondi per un bambino malato, molti sono contrari a far giocare professionisti come lui e rischiare che si infortunino. Ma Diego tra il fango di quel campetto di periferia, tra gli occhi increduli della gente che era venuta a vederlo da tutta la provincia, decide non solo di giocare ma di non risparmiarsi: incanta, dribbla, corre come fosse una finale dei mondiali.  “Ho paura di lasciare al mondo soltanto denaro, che il mio nome scompaia tra quelli di tutti gli altri”, ed è a questo punto che mi vengono in mente le parole di una canzone dei Maneskin: forse anche Maradona aveva paura, ricordava bene da dove veniva, quei campetti di fango erano molto simili a quelli della sua infanzia e nemmeno allora, mai, si era risparmiato, aveva sempre puntato a vincere, a dare il meglio di sé per chi lo osservava. In quegli stessi anni, mentre Maradona portava il Napoli in alto e diveniva uno degli uomini più follemente amati di sempre da una città che un po' gli assomigliava, tanto grande quanto maledetta,  tesseva le regnatele della sua rovina: finì nel vortice della Camorra, di una vita sfrenata, iniziò a far uso di cocaina, venne squalificato per doping e il resto lo conosciamo già. Al poeta, a colui che ha dato un'occasione al Napoli, a Napoli e ai napoletani, al  “prufessore ‘ro pallone” verrà intitolato lo Stadio San Paolo, quando si parlerà di lui sentiremo di Maradona “il Dio del calcio”, l'uomo che dello sport ne ha fatto una ragione di vita, una passione, un mezzo contro il razzismo, la guerra e il potere delle maggioranze ma sentiremo parlare anche di Diego, il fragile, il cocainomane, il malavitoso. Così sia, “bene o male, purchè se ne parli” è la condanna delle leggende, dei grandi come Diego Armando Maradona.

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